ARCHIVIO CAMOGLI IERI

2486.     NAVE  CROESUS        
Autore: Marcello Bozzo         bozzo@agenziabozzo.it
Epoca:  anno 1853

Origine: The Illustrated London News    -   Incisore: sconosciuto

NOTE:

Pur avendone sentito molto parlare, pochi in verità conoscono la nave Croesus che affondò causa incendio nelle acque davanti a San Fruttuoso il 24 aprile 1855.

                                                    Ecco i dati salienti:

Venne costruita nel 1853 dal cantiere C.J. Mare & Co. di Blackwall, Londra.
Nave a propulsione mista, disponeva di armamento velico ausiliario a brigantino a palo.
Impostata con il nome di Jason, venne completata con il nome di Croesus per conto della Compagnia di Navigazione General Screw Steam Shipping Company di Londra, fondata nel 1848 e ceduta nel 1857.
Venne impiegata come nave  per trasporto passeggeri e carico.
Varata il 21.6.1853, stazzava 2711 tonn.
Noleggiata dal governo Britannico per trasportare truppe e viveri in Crimea, nel porto di Genova i
l 24 aprile 1855 la nave aveva a bordo 250 soldati piemontesi con una trentina di ufficiali e 180 marinai inglesi di equipaggio.

Aveva a bordo un carico di materiali per uso del contingente sardo corrispondente a 2000 tonn. di viveri pari a 1.400.000 razioni capaci di nutrire ± 20.000 uomini per un mese, un ospedale da campo da 100 letti, medicinali anticolera, munizioni, acquavite, fieno, carbon fossile, muli e cavalli.

Il 24 aprile 1855 al mattino il “Croesus” salpò da Genova per il Levante al comando del Capitano John Vine Hall.

Giunta la nave al largo di Punta Chiappa, improvvisamente un grido d’allarme squarciò l’aria: “Fuoco a bordo!”. Le fiamme si erano sviluppate nel carbonile e si stavano estendendo rapidamente ai locali adiacenti. Il Comandante Hall ordina immediatamente di tagliare il cavo del Pedestrian, una nave carica di esplosivi che aveva a rimorchio, la quale ritornò a Genova.

Il carbon fossile si incendiò per autocombustione ed in breve il fuoco risultò indomabile. Il Comandante Hall si rese conto che il fuoco non poteva essere spento con le sole pompe di bordo. Ordinò pertanto il gettito a mare di tutti gli esplosivi e le munizioni e dirigere la prua verso terra a tutta forza sin tanto che la caldaia funzionava, e poi se occorreva in forza di vele.

Lo scopo era quello di portare la nave ad arenarsi su un basso fondale per soffocare l'incendio e salvare per quanto possibile vite e beni, pensando soprattutto all’equipaggio ed ai soldati che per la maggior parte non avevano mai visto il mare.

Era quasi mezzogiorno e la ripida roccia del Promontorio di Portofino su cui la nave dirigeva non presenta nessun punto di approdo. Il Comandante Hall diresse allora verso la piccola baia di San Fruttuoso, sola insenatura ch'egli vide aprirsi come un taglio lungo l'alta e squadrata muraglia di granito della costa, mentre le fiamme continuavano a divorare la nave.

Infine l'unità giunse ad arenarsi urtando la prua contro la Puntetta, ossia la roccia che divide le due spiagge di San Fruttuoso. I soldati terrorizzati si gettarono disordinatamente in mare. Dalla spiaggia vennero messi a mare i due gozzi disponibili, uno governato dalle due sorelle Maria e Caterina Avegno e l’altro dal marito di Maria, Giovanni Oneto. I due mezzi, instancabili, compirono molti viaggi per trasportare i naufraghi in salvo sulla spiaggia.

Durante uno di questi tragitti il gozzo delle sorelle Avegno venne afferrato da troppe mani di naufraghi disperati e rovesciato. Maria e Caterina, abili nuotatrici, vennero sbalzate in mare. Tentarono ancora di portare in salvo i naufraghi aggrappati alle loro vesti, ma furono sopraffatte e trascinate a fondo. Maria non emergerà più, mentre Caterina, semiaffogata, riuscirà a guadagnare la riva con l’aiuto del marinaio inglese Burns.

I soccorsi da Camogli giunsero nel primo pomeriggio del 24 aprile e continuarono sino alla sera quando tutti gli uomini verranno evacuati. Le autorità radunarono i soldati e l’equipaggio a Recco e li trasportarono a Genova. Sulla spiaggia si contarono cinque morti, ma nei giorni successivi il mare restituirà altre 19 salme. Le vittime del naufragio risulteranno soltanto 24 e verranno sepolte nel borgo, alle spalle dell’abbazia.

Il corpo di Maria Avegno sarà recuperato solo dopo quattro giorni. Il Croesus brucerà nella baia di San Fruttuoso ancora per alcuni giorni, rendendo impossibile ogni operazione di recupero. Il suo ingombrante relitto, ridotto ad uno scheletro, venne venduto il 14 maggio 1855 per 100 mila lire ad un commerciante di ghisa, ma dieci giorni dopo un’altra tempesta lo spezzerà in due tronconi mandandolo definitivamente a perdita totale.

Solo vent’anni dopo una compagnia di palombari tenterà di riportare a galla una parte del materiale. Un altro scarso recupero verrà effettuato nel 1937. Diversi subacquei avvistarono ancora nel 1970, a 10 metri di profondità, i resti di una lunga carena. Oggi tuttavia non rimane più nulla di quel disastro.

Al Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli è conservato il sestante del Croesus, di fabbricazione inglese, contorto dall’enorme calore provocato dall’incendio.

Maria Avegno fu sepolta dapprima a Camogli e successivamente, per concessione dei Principi Doria Pamphilj, nell’Abbazia di San Fruttuoso. La sorella Caterina morì poco tempo dopo ed anch'essa ebbe sepoltura nell'Abbazia, accanto ad essa. Un privilegio unico: l'ultima sepoltura avvenne nel 1305.

Dipinto originale in grande formato del naufragio del Croesus alla scheda N° 2910.

Qui di seguito trascriviamo, a beneficio di coloro che ne hanno interesse, la Relazione Ufficiale rilasciata dal Capitano Hall all'Ammiragliato Britannico subito dopo il naufragio, con in calce l'originale in inglese.
 

(traduzione)
                                                           
                      Rapporto ufficiale del Capitano W. Hall
                      sulla perdita della nave s/s "CROESUS"


Siamo stati favoriti dall'Ammiragliato con la seguente:

                                              Dichiarazione

di John Vine Hall, comandante della nave a vapore Croesus, ricevuta dal Ministro di Sua Maestà a Torino, stilato a bordo della H.M.S. Vulcan a Genova, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale di Genova.

"Abbiamo lasciato Genova ieri alle nove, con 270 soldati e 37 ufficiali dell'esercito sardo, e varie merci e provviste per l'esercito, compresi ventiquattro muli sul ponte superiore. Dovemmo anche rimorchiare il trasporto Pedestrian, N. 58, carico principalmente di munizioni.

Non accadde nulla di particolare, navigando a quattro o cinque miglia fuori dalla costa, fino a circa le dieci del mattino, quando la mia attenzione fu richiamata dal signor Maynard, ufficiale di guardia, e da Mr. Smith, nostromo, per la circostanza che lo strallo di maestra stava facendo fumo, e che, essendo ricoperto da filo metallico, doveva essere in fiamme nel centro, che era di canapa. Questo mi fece osservare il fumaiolo e il vapore che ne usciva, il fumaiolo era estremamente caldo, ed il calore aveva causato l'espansione delle piastre del ponte in una forma convessa.

Ho detto all'ingegnere di guardia di spegnere gli incendi e di bagnare il carbone. Poco dopo il fumo è stato notato in basso sul ponte principale, e il chirurgo ha riferito che l'infermeria, che era vicina al fumaiolo, era piena di fumo. Collegammo immediatamente la manichetta antincendio, dando mano alle pompe e ordinai che l'acqua fosse diretta contro quella parte della paratia da cui proveniva il fumo. Abbiamo tagliato il ponte su ciascun lato del fumaiolo e rotto diverse luci del ponte per dirigere il getto con più certezza. Dopo aver pompato per un tempo considerevole e aver inviato una grande quantità di acqua di sotto, sia con le pompe che con gli uomini che la azionavano, il fumo sembrava aumentare, nonostante tutti i nostri sforzi.

Poi ho chiamato da una parte il primo ufficiale e ho detto che pensavo che il fuoco si stesse estendendo, ordinandogli di mandare degli uomini ad approntare le imbarcazioni ed assegnare un ufficiale ad ognuna di esse per essere pronto ad ammainarle allascandole di poppa in sicurezza. Ciò è stato fatto e vennero impartiti gli ordini ai responsabili delle barche di impedire a chiunque di imbarcarsi. L'ordine venne rispettato con qualche difficoltà, perché non potevo permettermi di perdere tempo a ridurre la velocità, avendo ora cambiato rotta e dirigendo verso terra in modo che nel caso in cui l'incendio dovesse aumentare, avremmo potuto autorizzare lo sbarco delle truppe con maggiore facilità. La polvere e le munizioni venivano gettate fuori bordo sotto la supervisione di Mr. Hildyard, il Commissario di Bordo.

Continuammo a pompare e, assistiti da una squadra di soldati che attingevano acqua, ne versammo molta dabbasso. Segnalai al Pedestrian che la mia nave era in fiamme, e che li avrei ringraziati se preparavano a calare le scialuppe per aiutarci qualora ciò si rendesse necessario. Poco dopo aver issato il segnale di intelligenza il Pedestrian staccò le cime di rimorchio.

Stavamo ancora navigando a tutta forza verso la riva, e il fuoco sembrava essersi ridotto, quando all'improvviso un'alta e vigorosa fiamma si elevò attraverso il ponte. Allora pensai che non vi erano ormai poche speranze di salvare la nave. Sentendo che la sala macchine da lì a poco avrebbe dovuto essere abbandonata a causa del fumo crescente che la invadeva, inviai un ordine al Direttore di Macchina di alimentare al massimo le caldaie, in modo che i motori potessero funzionare il più a lungo possibile nel caso in cui i fuochisti fossero obbligati a lasciare la sala macchine. Peggiorando il fuoco sempre di più pensai che il miglior modo per combatterlo fosse quello di arenare la nave.

Tuttavia la costa appariva molto difficile da avvicinare, essendo irta e rocciosa; ma percependo la visione di una chiesa in fondo ad una gola, mi venne l'idea che in là in fondo doveva esserci una qualche baia, e in base a ciò avrei dovuto dirigere la nave verso di essa. I macchinisti ora non potevano più rimanere nella sala macchine e mandando a chiamare l'ingegnere capo, gli chiesi per quanto tempo ancora i motori avrebbero continuato a funzionare, perché ora mi chiedevo se sarebbero rimasti accesi abbastanza a lungo da permettere alla nave di raggiungere la riva. Ha dichiarato che avrebbero potuto funzionare sette minuti o poco più. Poi mi informai sulla probabilità che le caldaie scoppiassero, e lui mise in atto degli accorgimenti in modo da evitare un'esplosione delle caldaie quando la nave colpisse la terra.

In quel momento in cui ci appressavamo rapidamente alla riva, osservammo con attenzione la natura della costa per cercare di scegliere il luogo in cui sarebbe stato più favorevole l'atterraggio, poiché era impossibile fermare i motori. In attesa della collisione, non conoscendo la natura del fondale, ho raccomandato all'ufficiale comandante delle truppe di inviare i soldati il più possibile verso prua, in modo da avere una migliore possibilità di toccare terra prima possibile, e nel contempo di essere fuori dall'angolo di caduta degli alberi che certamente l'urto dello scafo con la riva avrebbe provocato.

Ora eravamo molto vicini alla riva ed osservammo una piccola baia con una spiaggia ai piedi dell'edificio prima accennato. La nave fu attentamente portata a virare attorno al punto roccioso che si protendeva sul mare; e dopo aver urtato per la prima volta, la nave virò a babordo, sbandò e poi si raddrizzò lentamente alla distanza di una decina di metri dalle rocce. Le manovre e l'albero di trinchetto erano ora in fiamme, le quali presto giunsero a mezza nave. Ho immediatamente dato ordine all'ufficiale comandante delle truppe di far imbarcare gli uomini a bordo delle scialuppe, alcuni di essi scavalcando le murate, altri calandosi dalle passerelle.

Dopo che i militari furono tutti sbarcati, ho ordinato ai marinai di entrare nelle scialuppe; e quando tutti se ne furono andati, la barca si affiancò alla nave ed imbarcò gli ufficiali e me stesso, mentre le fiamme ora risalivano la scala del salone.

Dato che la nave era ora circondata da una impenetrabile perfetta massa di fiamme, era assolutamente impossibile salvare il sia pur minimo materiale od equipaggiamento di bordo. Richiesta la mia attenzione per fornire i mezzi di trasporto per gli equipaggi, e desiderando allo stesso tempo che uno dei gli ufficiali militari comunicasse al comandante delle truppe che ho suggerito che sarebbe stato meglio per i suoi uomini marciare a Genova, presumo che ciò sia stato adottato, perché li ho presto persi di vista.

Ho noleggiato due barche da pesca e le ho spedite con il caposquadra, che non poteva servire sul posto, a Genova; e poi mandai un ufficiale in una barca per riferire la perdita della nave al capitano Brock, rimanendo io con le altre barche per osservare l'avanzare del fuoco e per raccogliere eventuali ritardatari se li avessi visti a riva. Vedendo che era impossibile fare di più, che non compariva nessuno sulla riva, sopratutto dalla parte dove erano caduti i tre alberi e dove il ponte superiore era crollato, lasciai la nave con la mia lancia di servizio per Genova, ed arrivai a bordo della HMS Jason verso le nove.

Si suppone che ci siano stati tre o quattro militari annegati, a causa della loro stessa imprudenza nel saltare in mare, contrariamente alle mie rimostranze e alle ripetute assicurazioni che se non avessero "..." e non si fossero confusi, sarebbero stati tutti salvati.
Una barca con due donne uscì dalla riva per prestare assistenza, ma i soldati avevano sovraccaricato la barca, affondandola per i troppi che entrarono in essa; un marinaio di nome Burns affogò nel tentativo di salvare le donne, una delle quali si era anche persa.

Sono dell'opinione che l'incendio sia stato causato dal calore del fumaiolo che ha causato il riscaldamento della paratia di ferro tanto da incendiare la paratia di legno al di fuori di essa. Sono stato quasi due anni al comando del Croesus e non ho mai notato qualcosa del genere prima, fino a questo momento, e non ho mai avuto motivo di temere alcun pericolo. La mia opinione personale è che alcune peculiarità del carbone hanno causato il calore insolito del fumaiolo.

Sono estremamente soddisfatto della condotta di ogni persona connessa con la nave, e i miei ordini venivano eseguiti con calma e precisione."

Datato a bordo del Vulcan, a Genova, il 25 aprile 1855.

                                                         John Vine Hall,
                                                                       Comandante della nave a vapore Croesus

 

(original)

            CAPT. W. HALL’s  OFFICIAL  Account
           
of THE Loss of THE S/S CROESUS


We have been favoured by the Admiralty with the following:

                                Statement

Of John Vine Hall, commander of the steam-ship Croesus, received from H.M. Minister at Turin, made on board H.M.S. Vulcan, at Genoa, and published in the Genoa Official Gazette.

"We left Genoa yesterday at nine o'clock, with 270 soldiers and 37 officers of the Sardinian army, and various stores and provisions for the army, including twenty-four mules on the upper deck. We also had to tow the transport Pedestrian, No. 58, laden with ammunition chiefly.

Nothing particular occurred, steering four or five miles off the coast, till about ten o'clock a.m., when my attention was called by Mr. Maynard, junior officer of the watch, and Mr. Smith, boatswain, to the circumstance of the main-stay smoking, which, being of wire, was supposed to be on fire in the centre, which was of hemp. This caused me to observe the funnel and steam coming out of it, the funnel being extremely hot, the heat of which had caused the deck plates to expand in a convex form. I told the engineer of the watch to ease the fires and damp the coals. Soon after this smoke was observed below on the main-deck, and the surgeon reported that his surgery, which was near the funnel, was full of smoke.

We immediately connected the fire-hose, manned the force-pumps, and I ordered the water to be directed against that part of the bulkhead from which the smoke was observed to come. We cut through the deck on each side of the funnel, and broke several of the deck lights, in order to direct the hose with more certainty. After pumping a considerable time, and sending a great quantity of water below, both by pumps and by men drawing it, the smoke appeared to increase, notwithstanding all our efforts. I then called the chief mate aside, and stating my opinion that I thought the fire was extending, directed him to send men to clear away the boats, appointing an officer to each to see them veered astern safely.

This was done, and orders given to those in charge of the boats to prevent any one from getting into them. This was effected with some difficulty, because I could not afford to lose the time to reduce the speed, having now changed her course for the land, so that in case the fire should increase, we might be enabled to land the troops with greater facility. The powder and ammunition were now thrown overboard, under the supervision of Mr. Hildyard, the purser.

We still continued pumping, and, assisted by a party of soldiers drawing water, poured volumes of it below. Hailed the Pedestrian, telling them that my ship was on fire, and that I would thank them to prepare their boats for lowering (if necessary) to assist us. Soon after I hailed, the Pedestrian cast off. We were still steaming towards the shore, and the fire appeared to be reduced at one time, but soon after a flame appearing through the deck, I thought there was not much hope of saving the ship. Hearing that the engine-room might soon become untënable from the increasing smoke, I sent an order to the chief engineer to make up the fires, so that the engines might work as long as possible in the event of the engineers being obliged to leave the engine-room.

The fire getting worse, I considered the best course to adopt was to endeavour to run the ship on shore. The coast appeared very difficult to approach, being ironbound and rocky; but perceiving a church in a ravine, it struck me, that being low down there must be some cove there, and according directed the ship to be steered for it. The engineers could now no longer remain in the engine-room, and sending for the chief engineer, I asked him how much longer the engines would continue to work, for it now became a question whether they would last long enough to enable the ship to reach the shore. He stated that they might work seven minutes or a little longer. I then inquired as to the probability of the boilers bursting, and he made arrangements to prevent an explosion of the boilers when the ship struck.

We were at this time rapidly approaching the shore, narrowly observing the nature of the coast as we approached, in order to select a place where it would be most favourable for landing, as it was impossible to stop the engines. In anticipation of striking, and not knowing the nature of the ground, I recommended the commanding officer of the troops to send the soldiers forward, so as to have a better chance of getting on shore first, and also to be clear of the fall of the masts should the shock be so great as to cause them to do so.

We were now very close to the shore, and perceived at the foot of the building mentioned before, a small beach and cove. The ship was carefully steered round the rocky point which run out; and after first striking, the ship heeled over to port, righted, and then grounded tolerably gently, within a short distance of the rocks, about ten yards off. The foremast and fore rigging were now on fire, and the midship part of the ship in flames. I immediately ordered the boats alongside, and told the commanding officer of the troops to put his men in them, some leaving the shi over the bows and others at the gangways.

After the military had all landed, I told the seamen to get into the boats; and when all had left, the boat came alongside and took the officers and myself, the flames now coming up the saloon staircase. As the ship was now in a perfect mass of flame, and it being utterly impossible to save any of the stores, &c., my attention was called to the mode of providing means of transit for the crews, desiring at the same time one of the military officers to tell the commander of the troops that I suggested it would be better for his men to march to Genoa, which course, I presume, he adopted, as I soon lost sight of them.

I hired two fishing-boats, and despatched them with the foreman, who could be of no service on the spot, to Genoa; and then sent an officer in a boat to report the loss of the ship to Capt. Brock, remaining myself with the other boats to watch the progress of the fire, and to pick up any straggler I might see on shore. Seeing it was impossible to do anything more, there appearing no one on shore, previous to which the three masts had gone over the side, and the upper deck had fallen in,

I left the ship in my gig for Genoa, and arrived on board the Jason about nine o'clock. It is supposed that there are three or four military persons drowned, owing to their own imprudence in jumping overboard, contrary to my remonstrances and repeated assurances that if they did not '...". and get confused, they would all be saved.

A boat came off from the shore with two women, to render assistance; but the soldiers having swamped the boat, by too many getting into it, a seaman named Burns was drowned in attempting to save the women, one of whom was also lost. I am of opinion that the fire was occasioned by the heat from the funnel causing the iron bulkhead to be so much heated as to set fire to the wooden bulkhead outside it.

I have been nearly two years in command of the Croesus and have never noticed anything of the kind before, to this extent; and I never had reason to apprehend any danger. My own opinion is, that some peculiarity of the coal caused the unusual heat of the funnel. I am perfectly satisfied with the conduct of every one connected with the ship, and my orders were carried out with coolness and precision."

Dated on board the Vulcan, at Genoa, April 25th, 1855.

                                                        John Vine Hall,
                                                                        Commander of the steam-ship Croesus

 

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