Pur
avendone sentito molto parlare, pochi in verità conoscono la nave
Croesus che affondò causa incendio nelle acque davanti a San
Fruttuoso il 24 aprile 1855.
Ecco
i dati salienti:
Venne costruita nel 1853 dal cantiere C.J. Mare & Co. di Blackwall,
Londra.
Nave a propulsione mista, disponeva di armamento velico ausiliario a brigantino a palo.
Impostata con il nome di Jason, venne completata con il nome di
Croesus per conto della Compagnia di Navigazione General Screw
Steam Shipping Company di Londra, fondata nel 1848 e ceduta nel 1857.
Venne impiegata come nave per trasporto passeggeri e
carico.
Varata il 21.6.1853, stazzava 2711 tonn.
Noleggiata dal governo Britannico per trasportare truppe e viveri in
Crimea, nel porto di Genova il 24
aprile 1855 la nave aveva a bordo 250 soldati piemontesi con una trentina di
ufficiali e 180 marinai inglesi di equipaggio.
Aveva a bordo un carico di materiali per uso del contingente sardo
corrispondente a 2000 tonn. di viveri pari a 1.400.000 razioni capaci di
nutrire ± 20.000 uomini per un mese,
un ospedale da campo da 100 letti, medicinali anticolera, munizioni,
acquavite, fieno, carbon fossile, muli e cavalli.
Il 24 aprile 1855 al mattino il “Croesus” salpò da Genova per il Levante al comando del
Capitano John Vine Hall.
Giunta la nave al largo di Punta Chiappa, improvvisamente un grido d’allarme squarciò l’aria: “Fuoco a bordo!”. Le
fiamme si erano sviluppate nel carbonile e si stavano estendendo
rapidamente ai locali adiacenti. Il Comandante Hall ordina immediatamente di tagliare il
cavo del Pedestrian, una nave carica di esplosivi che aveva a
rimorchio, la quale ritornò a
Genova.
Il carbon fossile si incendiò per autocombustione ed in breve il fuoco
risultò indomabile. Il Comandante Hall si rese conto che il fuoco non
poteva essere spento con le sole pompe di bordo. Ordinò pertanto il
gettito a mare di tutti gli esplosivi e le munizioni e dirigere la prua
verso terra a tutta forza sin tanto che la caldaia funzionava, e poi se
occorreva in forza di vele.
Lo scopo era quello di
portare la nave ad arenarsi su un basso fondale per soffocare l'incendio
e salvare per quanto possibile vite e beni, pensando soprattutto
all’equipaggio ed ai soldati che per la maggior parte non avevano mai
visto il mare.
Era quasi mezzogiorno e la ripida roccia del Promontorio di Portofino su
cui la nave dirigeva non presenta nessun punto
di approdo. Il Comandante Hall diresse allora verso la piccola baia di San Fruttuoso,
sola insenatura ch'egli vide aprirsi come un taglio lungo l'alta e
squadrata muraglia di granito della costa, mentre le fiamme continuavano
a divorare la nave.
Infine l'unità giunse ad
arenarsi urtando la prua contro la Puntetta, ossia la roccia che divide
le due spiagge di San Fruttuoso. I soldati terrorizzati si gettarono
disordinatamente in mare. Dalla spiaggia vennero messi a mare i due
gozzi disponibili, uno governato dalle due sorelle Maria e Caterina
Avegno e l’altro dal marito di Maria, Giovanni Oneto. I due mezzi,
instancabili, compirono molti viaggi per trasportare i naufraghi in
salvo sulla spiaggia.
Durante uno di questi
tragitti il gozzo delle sorelle Avegno venne afferrato da troppe mani di
naufraghi disperati e rovesciato. Maria e Caterina, abili nuotatrici,
vennero sbalzate in mare. Tentarono ancora di portare in salvo i
naufraghi aggrappati alle loro vesti, ma furono sopraffatte e trascinate
a fondo. Maria non emergerà più, mentre Caterina, semiaffogata, riuscirà
a guadagnare la riva con l’aiuto del marinaio inglese Burns.
I soccorsi da Camogli giunsero nel primo pomeriggio del 24 aprile e
continuarono sino alla sera quando tutti gli uomini verranno evacuati.
Le autorità radunarono i soldati e l’equipaggio a Recco e li
trasportarono a Genova. Sulla spiaggia si contarono cinque morti, ma nei
giorni successivi il mare restituirà altre 19 salme. Le vittime del
naufragio risulteranno soltanto 24 e verranno sepolte nel borgo, alle
spalle dell’abbazia.
Il corpo di Maria Avegno sarà recuperato solo dopo quattro giorni. Il
Croesus brucerà nella baia di San Fruttuoso ancora per alcuni
giorni, rendendo impossibile ogni operazione di recupero. Il suo
ingombrante relitto, ridotto ad uno scheletro, venne venduto il 14
maggio 1855 per 100 mila lire ad un commerciante di ghisa, ma dieci
giorni dopo un’altra tempesta lo spezzerà in due tronconi mandandolo
definitivamente a perdita totale.
Solo vent’anni dopo una compagnia di palombari tenterà di riportare a
galla una parte del materiale. Un altro scarso recupero verrà effettuato nel
1937. Diversi subacquei avvistarono ancora nel 1970, a 10 metri di profondità,
i resti di una lunga carena. Oggi tuttavia non rimane
più nulla di quel disastro.
Al Museo Marinaro “G.B. Ferrari” di Camogli è conservato il sestante del
Croesus, di fabbricazione inglese, contorto dall’enorme calore
provocato dall’incendio.
Maria Avegno fu sepolta dapprima a Camogli e successivamente, per
concessione dei Principi Doria Pamphilj,
nell’Abbazia di San Fruttuoso. La sorella Caterina morì poco tempo dopo
ed anch'essa ebbe sepoltura nell'Abbazia, accanto ad essa. Un privilegio unico:
l'ultima sepoltura avvenne nel 1305.
Dipinto originale in grande
formato del naufragio del Croesus alla scheda N°
2910.
Qui di seguito
trascriviamo, a beneficio di coloro che ne hanno interesse, la Relazione
Ufficiale rilasciata dal Capitano Hall all'Ammiragliato Britannico
subito dopo il naufragio, con in calce l'originale in inglese.
|
(traduzione)
Rapporto ufficiale del Capitano W. Hall
sulla perdita della
nave s/s "CROESUS"
Siamo stati favoriti dall'Ammiragliato con la seguente:
Dichiarazione
di John Vine Hall, comandante della nave a vapore Croesus, ricevuta dal
Ministro di Sua Maestà a Torino, stilato a bordo della H.M.S. Vulcan a
Genova, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale di Genova.
"Abbiamo lasciato Genova ieri alle nove, con 270 soldati e 37 ufficiali
dell'esercito sardo, e varie merci e provviste per l'esercito, compresi
ventiquattro muli sul ponte superiore. Dovemmo anche rimorchiare il
trasporto Pedestrian, N. 58, carico principalmente di munizioni.
Non accadde nulla di particolare, navigando a quattro o cinque miglia
fuori dalla costa, fino a circa le dieci del mattino, quando la mia
attenzione fu richiamata dal signor Maynard, ufficiale di guardia, e da
Mr. Smith, nostromo, per la circostanza che lo strallo di maestra stava
facendo fumo, e che, essendo ricoperto da filo metallico, doveva essere
in fiamme nel centro, che era di canapa. Questo mi fece osservare il
fumaiolo e il vapore che ne usciva, il fumaiolo era estremamente caldo,
ed il calore aveva causato l'espansione delle piastre del ponte in una
forma convessa.
Ho detto all'ingegnere di guardia di spegnere gli
incendi e di bagnare il carbone. Poco dopo il fumo è stato notato in
basso sul ponte principale, e il chirurgo ha riferito che l'infermeria,
che era vicina al fumaiolo, era piena di fumo. Collegammo immediatamente
la manichetta antincendio, dando mano alle pompe e ordinai che l'acqua
fosse diretta contro quella parte della paratia da cui proveniva il
fumo. Abbiamo tagliato il ponte su ciascun lato del fumaiolo e rotto
diverse luci del ponte per dirigere il getto con più certezza. Dopo aver
pompato per un tempo considerevole e aver inviato una grande quantità di
acqua di sotto, sia con le pompe che con gli uomini che la azionavano,
il fumo sembrava aumentare, nonostante tutti i nostri sforzi.
Poi ho chiamato da una parte il primo ufficiale e ho detto che pensavo
che il fuoco si stesse estendendo, ordinandogli di mandare degli uomini
ad approntare le imbarcazioni ed assegnare un ufficiale ad ognuna di
esse per essere pronto ad ammainarle allascandole di poppa in sicurezza.
Ciò è stato fatto e vennero impartiti gli ordini ai responsabili delle
barche di impedire a chiunque di imbarcarsi. L'ordine venne rispettato
con qualche difficoltà, perché non potevo permettermi di perdere tempo a
ridurre la velocità, avendo ora cambiato rotta e dirigendo verso terra
in modo che nel caso in cui l'incendio dovesse aumentare, avremmo potuto
autorizzare lo sbarco delle truppe con maggiore facilità. La polvere e
le munizioni venivano gettate fuori bordo sotto la supervisione di Mr.
Hildyard, il Commissario di Bordo.
Continuammo a pompare e, assistiti da una squadra di soldati che
attingevano acqua, ne versammo molta dabbasso. Segnalai al Pedestrian
che la mia nave era in fiamme, e che li avrei ringraziati se preparavano
a calare le scialuppe per aiutarci qualora ciò si rendesse necessario.
Poco dopo aver issato il segnale di intelligenza il Pedestrian staccò le
cime di rimorchio.
Stavamo ancora navigando a tutta forza verso la riva, e il fuoco
sembrava essersi ridotto, quando all'improvviso un'alta e vigorosa
fiamma si elevò attraverso il ponte. Allora pensai che non vi erano
ormai poche speranze di salvare la nave. Sentendo che la sala macchine
da lì a poco avrebbe dovuto essere abbandonata a causa del fumo
crescente che la invadeva, inviai un ordine al Direttore di Macchina di
alimentare al massimo le caldaie, in modo che i motori potessero
funzionare il più a lungo possibile nel caso in cui i fuochisti fossero
obbligati a lasciare la sala macchine. Peggiorando il fuoco sempre di
più pensai che il miglior modo per combatterlo fosse quello di arenare
la nave.
Tuttavia la costa appariva molto difficile da avvicinare, essendo irta e
rocciosa; ma percependo la visione di una chiesa in fondo ad una gola,
mi venne l'idea che in là in fondo doveva esserci una qualche baia, e in
base a ciò avrei dovuto dirigere la nave verso di essa. I macchinisti
ora non potevano più rimanere nella sala macchine e mandando a chiamare
l'ingegnere capo, gli chiesi per quanto tempo ancora i motori avrebbero
continuato a funzionare, perché ora mi chiedevo se sarebbero rimasti
accesi abbastanza a lungo da permettere alla nave di raggiungere la
riva. Ha dichiarato che avrebbero potuto funzionare sette minuti o poco
più. Poi mi informai sulla probabilità che le caldaie scoppiassero, e
lui mise in atto degli accorgimenti in modo da evitare un'esplosione
delle caldaie quando la nave colpisse la terra.
In quel momento in cui ci appressavamo rapidamente alla riva, osservammo
con attenzione la natura della costa per cercare di scegliere il luogo
in cui sarebbe stato più favorevole l'atterraggio, poiché era
impossibile fermare i motori. In attesa della collisione, non conoscendo
la natura del fondale, ho raccomandato all'ufficiale comandante delle
truppe di inviare i soldati il più possibile verso prua, in modo da
avere una migliore possibilità di toccare terra prima possibile, e nel
contempo di essere fuori dall'angolo di caduta degli alberi che
certamente l'urto dello scafo con la riva avrebbe provocato.
Ora eravamo molto vicini alla riva ed osservammo una piccola baia con
una spiaggia ai piedi dell'edificio prima accennato. La nave fu
attentamente portata a virare attorno al punto roccioso che si
protendeva sul mare; e dopo aver urtato per la prima volta, la nave virò
a babordo, sbandò e poi si raddrizzò lentamente alla distanza di una
decina di metri dalle rocce. Le manovre e l'albero di trinchetto erano
ora in fiamme, le quali presto giunsero a mezza nave. Ho immediatamente
dato ordine all'ufficiale comandante delle truppe di far imbarcare gli
uomini a bordo delle scialuppe, alcuni di essi scavalcando le murate,
altri calandosi dalle passerelle.
Dopo che i militari furono tutti sbarcati, ho ordinato ai marinai di
entrare nelle scialuppe; e quando tutti se ne furono andati, la barca si
affiancò alla nave ed imbarcò gli ufficiali e me stesso, mentre le
fiamme ora risalivano la scala del salone.
Dato che la nave era ora circondata da una impenetrabile perfetta massa
di fiamme, era assolutamente impossibile salvare il sia pur minimo
materiale od equipaggiamento di bordo. Richiesta la mia attenzione per
fornire i mezzi di trasporto per gli equipaggi, e desiderando allo
stesso tempo che uno dei gli ufficiali militari comunicasse al
comandante delle truppe che ho suggerito che sarebbe stato meglio per i
suoi uomini marciare a Genova, presumo che ciò sia stato adottato,
perché li ho presto persi di vista.
Ho noleggiato due barche da pesca e
le ho spedite con il caposquadra, che non poteva servire sul posto, a
Genova; e poi mandai un ufficiale in una barca per riferire la perdita
della nave al capitano Brock, rimanendo io con le altre barche per
osservare l'avanzare del fuoco e per raccogliere eventuali ritardatari
se li avessi visti a riva. Vedendo che era impossibile fare di più, che
non compariva nessuno sulla riva, sopratutto dalla parte dove erano
caduti i tre alberi e dove il ponte superiore era crollato, lasciai la
nave con la mia lancia di servizio per Genova, ed arrivai a bordo della
HMS Jason verso le nove.
Si suppone che ci siano stati tre o quattro militari annegati, a causa
della loro stessa imprudenza nel saltare in mare, contrariamente alle
mie rimostranze e alle ripetute assicurazioni che se non avessero "..."
e non si fossero confusi, sarebbero stati tutti salvati.
Una barca con due donne uscì dalla riva per prestare assistenza, ma i
soldati avevano sovraccaricato la barca, affondandola per i troppi che
entrarono in essa; un marinaio di nome Burns affogò nel tentativo di
salvare le donne, una delle quali si era anche persa.
Sono dell'opinione che l'incendio sia stato causato dal calore del
fumaiolo che ha causato il riscaldamento della paratia di ferro tanto da
incendiare la paratia di legno al di fuori di essa. Sono stato quasi due
anni al comando del Croesus e non ho mai notato qualcosa del genere
prima, fino a questo momento, e non ho mai avuto motivo di temere alcun
pericolo. La mia opinione personale è che alcune peculiarità del carbone
hanno causato il calore insolito del fumaiolo.
Sono estremamente soddisfatto della condotta di ogni persona connessa con
la nave, e i miei ordini venivano eseguiti con calma e precisione."
Datato a bordo del Vulcan, a Genova, il 25 aprile 1855.
John Vine Hall,
Comandante della nave a vapore Croesus
|
(original)
CAPT. W. HALL’s OFFICIAL Account
of THE Loss of THE S/S CROESUS
We have been favoured by the Admiralty with the following:
Statement
Of John Vine Hall, commander of the steam-ship Croesus,
received from H.M. Minister at Turin, made on board H.M.S. Vulcan, at
Genoa, and published in the Genoa Official Gazette.
"We left Genoa yesterday at nine o'clock, with 270 soldiers and 37
officers of the Sardinian army, and various stores and provisions for
the army, including twenty-four mules on the upper deck. We also had to
tow the transport Pedestrian, No. 58, laden with ammunition chiefly.
Nothing particular occurred, steering four or five miles off the coast,
till about ten o'clock a.m., when my attention was called by Mr. Maynard,
junior officer of the watch, and Mr. Smith, boatswain, to the
circumstance of the main-stay smoking, which, being of wire, was
supposed to be on fire in the centre, which was of hemp. This caused me
to observe the funnel and steam coming out of it, the funnel being
extremely hot, the heat of which had caused the deck plates to expand in
a convex form. I told the engineer of the watch to ease the fires and
damp the coals. Soon after this smoke was observed below on the
main-deck, and the surgeon reported that his surgery, which was near the
funnel, was full of smoke.
We immediately connected the fire-hose,
manned the force-pumps, and I ordered the water to be directed against
that part of the bulkhead from which the smoke was observed to come. We
cut through the deck on each side of the funnel, and broke several of
the deck lights, in order to direct the hose with more certainty. After
pumping a considerable time, and sending a great quantity of water below,
both by pumps and by men drawing it, the smoke appeared to increase,
notwithstanding all our efforts. I then called the chief mate aside, and
stating my opinion that I thought the fire was extending, directed him
to send men to clear away the boats, appointing an officer to each to
see them veered astern safely.
This was done, and orders given to those
in charge of the boats to prevent any one from getting into them. This
was effected with some difficulty, because I could not afford to lose
the time to reduce the speed, having now changed her course for the land,
so that in case the fire should increase, we might be enabled to land
the troops with greater facility. The powder and ammunition were now
thrown overboard, under the supervision of Mr. Hildyard, the purser.
We
still continued pumping, and, assisted by a party of soldiers drawing
water, poured volumes of it below. Hailed the Pedestrian, telling them
that my ship was on fire, and that I would thank them to prepare their
boats for lowering (if necessary) to assist us. Soon after I hailed, the
Pedestrian cast off. We were still steaming towards the shore, and the
fire appeared to be reduced at one time, but soon after a flame
appearing through the deck, I thought there was not much hope of saving
the ship. Hearing that the engine-room might soon become untënable from
the increasing smoke, I sent an order to the chief engineer to make up
the fires, so that the engines might work as long as possible in the
event of the engineers being obliged to leave the engine-room.
The fire
getting worse, I considered the best course to adopt was to endeavour to
run the ship on shore. The coast appeared very difficult to approach,
being ironbound and rocky; but perceiving a church in a ravine, it
struck me, that being low down there must be some cove there, and
according directed the ship to be steered for it. The engineers could
now no longer remain in the engine-room, and sending for the chief
engineer, I asked him how much longer the engines would continue to
work, for it now became a question whether they would last long enough
to enable the ship to reach the shore. He stated that they might work
seven minutes or a little longer. I then inquired as to the probability
of the boilers bursting, and he made arrangements to prevent an
explosion of the boilers when the ship struck.
We were at this time
rapidly approaching the shore, narrowly observing the nature of the
coast as we approached, in order to select a place where it would be
most favourable for landing, as it was impossible to stop the engines.
In anticipation of striking, and not knowing the nature of the ground, I
recommended the commanding officer of the troops to send the soldiers
forward, so as to have a better chance of getting on shore first, and
also to be clear of the fall of the masts should the shock be so great
as to cause them to do so.
We were now very close to the shore, and
perceived at the foot of the building mentioned before, a small beach
and cove. The ship was carefully steered round the rocky point which run
out; and after first striking, the ship heeled over to port, righted,
and then grounded tolerably gently, within a short distance of the rocks,
about ten yards off. The foremast and fore rigging were now on fire, and
the midship part of the ship in flames. I immediately ordered the boats
alongside, and told the commanding officer of the troops to put his men
in them, some leaving the shi over the bows and others at the gangways.
After the military had all landed, I told the seamen to get into the
boats; and when all had left, the boat came alongside and took the
officers and myself, the flames now coming up the saloon staircase. As
the ship was now in a perfect mass of flame, and it being utterly
impossible to save any of the stores, &c., my attention was called to
the mode of providing means of transit for the crews, desiring at the
same time one of the military officers to tell the commander of the
troops that I suggested it would be better for his men to march to
Genoa, which course, I presume, he adopted, as I soon lost sight of them.
I hired two fishing-boats, and despatched them with the foreman, who
could be of no service on the spot, to Genoa; and then sent an officer
in a boat to report the loss of the ship to Capt. Brock, remaining
myself with the other boats to watch the progress of the fire, and to
pick up any straggler I might see on shore. Seeing it was impossible to
do anything more, there appearing no one on shore, previous to which the
three masts had gone over the side, and the upper deck had fallen in,
I left the ship in my gig for Genoa, and arrived on board the Jason about
nine o'clock. It is supposed that there are three or four military
persons drowned, owing to their own imprudence in jumping overboard,
contrary to my remonstrances and repeated assurances that if they did
not '...". and get confused, they would all be saved.
A boat came off
from the shore with two women, to render assistance; but the soldiers
having swamped the boat, by too many getting into it, a seaman named
Burns was drowned in attempting to save the women, one of whom was also
lost. I am of opinion that the fire was occasioned by the heat from the
funnel causing the iron bulkhead to be so much heated as to set fire to
the wooden bulkhead outside it.
I have been nearly two years in command
of the Croesus and have never noticed anything of the kind before, to
this extent; and I never had reason to apprehend any danger. My own
opinion is, that some peculiarity of the coal caused the unusual heat of
the funnel. I am perfectly satisfied with the conduct of every one
connected with the ship, and my orders were carried out with coolness
and precision."
Dated on board the Vulcan, at Genoa, April 25th, 1855.
John Vine Hall,
Commander of the steam-ship Croesus
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