| La nave goletta 
	Aquila 
	in banchina a Poole, Inghilterra, nel 1923.
 Venne costruita dal cantiere di E. Calamaro a Savona nel 1904.
 Scafo in legno di quercia e pino, con un ponte e due ordini di bagli, opera 
	viva foderata in metallo giallo.
 Armamento velico a tre alberi e bompresso in pitch pine e pino.
 
 Stazza 313 tsl, 297 tsn.
 
 Lunghezza m. 42,90.
 Larghezza m. 8,45.
 Immersione m. 4,18
 
 1904 Armatore G.B. Aonzo di Savona. Nome 
	 
	Adelaide.
 Cap. G. Luporini
 
 1910 Venduta a Emilio Dominici di Viareggio.
 Matricola 200 al Compartimento 
	Marittimo di Viareggio.
 Ribattezzata 
	 
	Adelaide Margherita.
 Com.te Cap. Emilio Dominici.
 Riclassificata tsl 306, tsn 245.
 
 1916 Sempre di proprietà del cap. Emilio Dominici di Viareggio, viene 
	ribattezzata
 Aquila.
 Com. Emilio Dominici
 Com. G. Genovali
 In seguito vi venne 
	installato un motore diesel ausiliario Humboldt Deutzmotoren
 da 145 HP/asse.
 Nuovo tonnellaggio 305 tsl e 237 tsn.
 
 1940 Il 17 ottobre 1940 venne requisito a Viareggio dalla Regia Marina nel 
	ruolo del
 naviglio ausiliario dello 
	Stato, venne messo in servizio come dragamine magnetico
 con la sigla 
	N 10.
 
 Il 21 settembre 1942 l'unità navigava di conserva con l'omologo 
	San Michele 
	al largo della costa tunisina.
 
 Alle 22:45 vennero avvistate dal smg britannico 
	P46 
	(poi Unruffled), 
	al comando del tenente di vascello John Samuel Stevens.
 
 In rotta di avvicinamento alle due unità il smg britannico alle 00.17 del 22 
	identificò la nave come una grossa goletta a tre alberi, a poppavia della 
	quale navigava un’altra più piccola imbarcazione a motore, che non riuscì ad 
	identificare (il San 
	Michele).
 
 Il comandante britannico decise di attaccare il motoveliero col cannone: 
	alla 01:05, in posizione 35°33’ N e 11°08’ E, aprì il fuoco da 915 metri, 
	continuando intanto a serrare le distanze.
 Il 
	P 46 
	sparò dodici colpi, otto dei quali andarono a segno incendiando la 
	Aquila, 
	che venne abbandonata dall’equipaggio. Il motoveliero continuò a bruciare 
	per almeno quattro ore, prima di inabissarsi a 8 miglia per 40° da Mahdia (Mehedia, 
	Tunisia).
 Non vi furono vittime: dei 26 uomini che formavano l’equipaggio dell’Aquila, 
	tre rimasero feriti, due dei quali in modo grave. Furono tutti tratti in 
	salvo da unità italiane.
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